Maria Lenti, Versi alfabetici

Prefazione di Gualtiero De Santi

Urbino, Quattroventi, 2004, pp. 112, euro 9.00

 

Quest’ultimo libro di poesie  di Maria Lenti, dopo il video-testo A lungo ragionarne insieme, è sorpresa e già il titolo, Versi alfabetici, è una premessa. Vuoi per quel tanto di rigorosa ricerca linguistica che ormai è una connotazione della poetessa urbinate,  vuoi per gli assunti di filastrocca popolare a cui il si è rimandati inaspettatamente, il libro scandisce parole che danno forma ad una musicalità attraverso la quale si rende concreto il superamento della stessa occasione poetica, del fatto reale, dell’avvenimento, dell’esperienza individuale e privata.

All’improvviso ed in sincrono con la lettura, infatti, chi legge si trova dentro la cadenza musicale della nenia o, in alcuni casi, dello scioglilingua ed è investito dal potere evocativo e di reminiscenza proprio della poesia - ma non solo della poesia, anche dell’arte figurativa, soprattutto dell’arte figurativa direi -.

Occasioni storiche, della cronaca, e umane hanno portato l’autrice a Versi alfabetici: vicende che hanno luogo nelle sue origini e fanno parte del suo vissuto, del suo humus umano e culturale. Lì va ricercata la chiave, il codice di questa poesia. Ma, certamente, quanto essa esprime e “produce” è il risultato di numerose stratificazioni dove affondano le sue  radici. Da qui proviene il cantilenato di cui parla De Santi nella prefazione: <<…in diversi tratti si abbandona al cantilenato, a ondate di parole (che) quasi sondano l’impossibile, il riposto…>>.

Il riposto è quel soffio vitale del vissuto che porta con sé il ricordo delle giornate, dei tempi dell’infanzia, delle sere, dei racconti e dei fatti; riposto in cui la memoria della storia si tramandava attraverso il narrato e la parola. E’ quel debole strascico che non genera più angoscia, ma conserva e possiede di fatto gli odori, i rumori e la concretezza degli eventi,  e fa sì che esso diventi materia poetica inarrestabile che inventa il suo modo di definirsi seguendo un processo di proliferazione di lemmi, degli insiemi verbali, della parola.

Preso in questo senso il linguaggio della poetessa non dà più significati astrattamente sonori ma qualche cosa di più che congiunge idee e forme, anzi si condensa in masse che, a volte, sottesi legami e nessi, mantengono  e rimandano, evocandola, la storia del singolo e del mondo, trasparenti nella loro essenza, nel desiderio di ricominciare,  nell’attesa di futuro.

 

Vitaliano Angelini

  Pubbl. in <<il grande vetro>>, anno XXIX, (174), 68, gennaio-febbraio 2005