Saggio di Maria Lenti:

La poesia di Tolmino Baldassari

I PASSI, LE TRACCE

Pubblicata su:  IL PARLAR   FRANCO

2  ANNO II - 2002 - Rivista di cultura dialettale e critica letteraria

PIER GIORGIO        PAZZINI      STAMPATORE EDITORE

 

 

Diffusa in tutte le raccolte di Tolmino Baldassari una domanda, esplicita o sottintesa, diversificata nelle forme e nelle tonalità e nella melanconia, puntuta o distesa,  rincorsa o affermata da subito: dove sono le voci, le persone, i gesti del quotidiano, i lavori e i valori, gli amici, l'infanzia degli incanti, l'adolescenza delle scoperte,  la gioventù della prima consapevolezza esistenziale, le stagioni continue e variate che formano, ora, il senso e la pienezza della  vita interiore a fronte delle assenze che la vita esteriore registra?

Ad impronte leggere, a passi lievi in un tempo senza tempo che ha al suo interno anche le presenze vive, quasi sospese nelle atmosfere di una memoria che, avvalendosi del ricordo, si dilata nel suo intorno, i versi rilasciano e fanno sfilare la domanda: tutto è talmente sfibrato (e  non solo perché è intervenuta la morte), nella impossibilità di un reificarsi e di un ritorno, di un nuovo esserci di questo tutto per poterlo riamare nei fatti o anche ripossederlo, da averne solo filamenti, l'essenza  dolce come miele, l'eco cristallina di una "giostra grande" che c'era ed è stata ed ha girato sans cesse. Quando?

Così appaiono, la poesia di Baldassari e la risonanza delle intermittenze del cuore,  e così anche sono, cosparse  e  soffuse  di una liricità che ritraccia  le movenze di un'esistenza piena di vivencia dove la leggerezza vissuta ma impalpabile ed ora intoccabile, di una condivisione delle cose e delle giornate, anche in proiezione verso il futuro, e di un sentimento compartecipativo di eventi e situazioni corali, di movimenti di luci  e di cambiamenti del giorno e dei mesi, era la leggerezza del sentirsi con gli altri, nel flusso della stessa storia, della stessa vicenda umana. Se ora, alla distanza, ogni persona-cosa-avvenimento risulta immagine distante dalla realtà, ossia sogno ma proveniente da un invaso particolare - un "domestico e umanissimo gravitare del cuore" - e la memoria compie il suo rito di riappropriazione del perduto, il primo moto consiste nel filtrare l'emozione al setaccio del pensiero per chiedersi, magari in silenzio e sottacendo l'esigibilità, che cosa ne sia stato di tutto e di tutti.

Ma "sofferenza e sentimento della perdita", pubblico e privato  riassorbiti nel male di vivere e "sentimento del tempo" subiscono per lo più uno scatto di risarcimento, che permette di recuperare al presente il perduto, proprio nella variazione, e non di rado  grazie ad essa, del tempo verbale: la partenza su un passato risulta, alla fine  della poesia, un arrivo su un presente, così  che non  tanto  è richiamato in essere ciò che non è più, quanto è il non essere ancora a farsi carico di quel non più essenziale ed estremamente necessario nel silenzio che contorna il poeta e l'oggi.

Un silenzio che è silenzio di umanità., assenza di percezione del  vivere, dell'essere accorti su quanto ci circonda e ci nutre di vitalità: gli  animali, le creature della terra, gli elementi della terra stessa,  gli oggetti (sedie, tavoli, cucina, strumenti di lavoro, ecc.) che suppongono un 'insieme' che dirada, di molto, la solitudine e fa essere più pungente, semmai, la malinconia del rumore inarrestabile teso, davvero un troppo pieno, a coprire il vuoto.

Il che non significa avere dimenticato la storia o essere estranei  alla storia di tutti i giorni. È che il  tempo presente genera il tempo perduto e questo diventa il sostrato di un nuovo tempo. E che,  della poesia  di Tolmino Baldassari,  la realtà attuale  costituisce il  retroterra di  quel vuoto. Sarà la poesia stessa, il  suo assunto, il  suono, a colmare questo nulla contornato di debiti con la pienezza  di realtà introiettate, innervate nel  corpo (del poeta e della poesia) e non semplice fondale o idillio del mai più.

Sfugge questa 'realtà' ai molti vivi sommersi da eventi stranianti: è una realtà inguardata, fatta di voci, di aria e di nebbia, di luci  e di ombre, di visure e  trasparenze  che hanno bisogno di essere ascoltate, di sottili legami da riconoscere e nominare e da vivere non per essere fuori dalla storia ma per costruire un'altra storia, un altro vivere, una diversa esistenza, mantenendo il legame con le persone, gli oggetti, il vissuto del passato nel suo succo e nel suo frutto di vissuto.

Se il luogo e il tempo, talora lo spazio,  del passato sembrano consegnare le figure e le immagini alla nostalgia, i versi ne fissano l'esperienza emozionale - asciutta e limpida  ella sua essenza recuperata e restituita poeticamente nel  suo valore  antropologico, fuori dai puri mitologemi dell'elegia fine a se stessa che potrebbe essere filata e sfilarsi tra l'io e i luoghi incontaminati dell'infanzia, tra l'io e le voci e i personaggi  e gli spazi di quella giovinezza.

Dalle poesie, nel medesimo istante emozionale, si sfila un tutto che la memoria pone nel presente e lo ricolloca come presente della coscienza, meglio come coscienza del presente, senza indugi: infatti l'ultimo verso termina sull'oggi un'azione di 'tanto tempo fa' e perciò stesso posta ad inizio della poesia.

Entra, questo tutto, in una storia minima, quotidiana, appartenente al passato -  ma di un passato depurato dell'elenco cronachistico, delle esteriorità e delle intromissioni, avvertite in sottofondo come tagli e lacerazioni, che hanno deturpato i paesaggi, stravolto o sconvolto il paesaggio delle comunità e del sentire comune -, ma tanto viva da costituire il tessuto della coscienza del presente e la trama di un'utopia, nel senso di un luogo (mondo) che si dischiude proprio per non avere in sé quelle 'voci', anzi perché è chiuso a quelle 'voci'.

Bisognerà, allora, che il silenzio sia rovesciato nel suo assunto: il silenzio come pausa dal chiasso esterno e dai rumori, dai clamori, per riafferrare il significato di una esperienza che riporti coralità e comunità". E che riporti la vita che si fa mentre viene vissuta.

L'utopia diventa  il luogo di un desiderio di forte intensità e diviene luogo possibile (se il desiderio è, come è, la molla del fare, del muovere e del muoversi, dell'agire più che del gestire), che apre un altro senso al mondo: utopia come impossibile che si fa possibile se...; utopia come non luogo inesistente e dell'inesistenza o luogo della visionarietà e dell'onirismo, luogo dell'impossibilità.

Nella poesia di Tolmino Baldassari si apre  l'utopia del primo luogo, affidato all'uomo, al suo esserci con l'insieme dell'esperienza e del passato, con i sogni e con la figuratività lasciata da chi s'è fatto esempio di valore e di lavoro, con le persone e i  luoghi e gli spazi, anche mentali anche del 'sogno', che immettono nel giorno e permettono di stare dentro e  pensare e agire per e su possibilità non ancora realizzate.

Potrebbe sembrare una contraddizione, una mossa della memoria che chiede, per albe non più tali e per tramonti che persistono, a se stessa l'esistenza di ciò che non è più (e che magari,  forse, nemmeno è stato: tanto è l'inganno, anche, che la razionalità può giocare nell'attimo in cui essa tenta di decifrare le tracce e i passi di quel non più).

Ma lo scatto della memoria sulla neve, sull'aria, sul chiaro-scuro della luna, sulla trasparenza del vetro delle finestre, sugli  animali, l'ape per eccellenza, sulle persone e ... il passo lentamente si fa traccia e diviene impronta di un pensiero che contiene cose e quel passato e, per il movimento determinatosi tra la situazione (presente) e il ricordo, contiene anche un lascito che, scivolato dal passato sul presente, ha tracciato la sua scia. Non solo vi si può leggere e accettare (o rifiutare) la storia, ma vi si può camminare e imprimere i propri passi: è la scia, infatti, che ha permesso di definire il passato  e che permette di trovarsi civili nel  presente.