Ricercando il sapere

Anni di riforme fallimentari minano il mondo universitario

Maria Lenti

in «Liberazione» - 4 luglio 2003

 

Università, risorsa del Paese: chi non è d'accordo?  Lo sono tutti quegli organismi (e istituzioni) che con l'università hanno a che fare. A cominciare dal governo. Ma quale università e per quale futuro? Quale ricerca e con quali docenti? Con quali finanziamenti?

Sono interrogativi (in piedi fin dai tempi di Ruberti e, a seguire, di Berlinguer e di Zecchino), che tornano puntualmente quando si ha a che fare con provvedimenti (per esempio il decreto ministeriale 105, ora al Senato, in cui si autorizzano anche le università telematiche) che aprono a nuove figure di ricercatori togliendo la cifra necessaria ai fondi per l'incentivazione della didattica e della ricerca: togliendola cioè a docenti da anni nell'università senza stato giuridico e riconoscimento del loro ruolo di docenti.

L'università vive dentro riforme (mai condivise da Rifondazione Comunista) mal attuate, parzialmente attuate o, alla prova dei fatti, fallimentari anche sui fuoricorso che il 3+2 prevedeva in estinzione. Dall'ultima finanziaria le difficoltà si sono accentuate. Via via più magri e incerti i finanziamenti del governo. Mica per una dimenticanza o, semplicemente (si fa per dire: e le guerre?), per le casse vuote. Le dimissioni dei rettori, pur rientrate, avevano fatto scalpore. Così come le richieste dei ricercatori del CNR e quelle delle associazioni dei docenti, sostenute e fatte proprie anche in Parlamento da Rifondazione Comunista.

Anche recentemente le varie voci si sono rialzate, in due iniziative pubbliche a Roma, di differente tenore ma entrambe di forte impatto: Adu, Andu, Apu, sindacati di categoria della Cisl, Cgil, Uil, Snals, con alcuni parlamentari all'ex Hotel Bologna, e Conferenza dei rettori e CUN con il ministro Moratti all'Università Roma Tre.

Le lauree e i corsi specialistici, così specialistici da aver raggiunto cifre con tre zeri (8.000, forse più), hanno ulteriormente precarizzato la docenza, hanno allargato la maglia della flessibilizzazione, hanno incentivato la fluidità non certo la stabilità (si ritiene che la ricerca debba essere a termine? Incisivo l'intervento di un dottorando, Augusto Pastorini, alla giornata della Crui).

Il centrodestra - lo ha ribadito coram  populo  il ministro - punta sui finanziamenti dei privati chiedendo (o imponendo: se i fondi non arrivano ...) di legare la ricerca a brevetti e ad applicazioni spendibili sul mercato. L'università si colleghi con l'industria (di spin-off e shop list non pochi ordinari sono del tutto convinti), italiana ed europea e della globalizzazione: si aggancia così allo sviluppo, lo determina, ne trae profitto.

Nel filo tirato tra università e industria-società manca l'aria. Il fine di questa ricerca punta bello diritto su un obiettivo foraggiato da un consumismo vorace che continuerebbe la sottrazione di vita alla terra e ai suoi abitanti. Anche se si ricerca per la qualità della vita. Perché, se la qualità della vita è già fortemente in deficit proprio per il modello capitalistico e di mercato, che vive della necessità di produrre riproducendosi, di quale qualità si può parlare?

Appunto, allora: risorse, fondi, finanziamenti, cambiamenti di leggi (reale autonomia, non quella odierna così sbandierata e così micragnosa negli spazi di agibilità); stabilità non precarietà, anche per la ricerca di base non solo per la ricerca applicata. Lo chiedono i docenti e i ricercatori, i dottorandi, gli studenti pressati da appelli mensili e stretti nella morsa dei crediti.

Che il futuro sia dei giovani - come alcuni dirigenti, pubblici o privati, sostengono - è uno specchietto che non illude. I giovani sono per costoro (nell'Italia del centrodestra e nell'Europa di Maastricht) la forza che deve, con il proprio lavoro e ricerca e vita, reggere il peso di questa società e di questo mondo così come i poteri dell'economia di mercato li hanno voluti e li stanno propinando. Giovani in obbedienza esecutiva, insomma, spinti a correre magari su incarichi a termine, messi in antagonismo con chi nell'università insegna e ricerca da anni (canale non percorribile, nemmeno per la Crui, che chiede che i ricercatori - circa 20.000 - da vari decenni nell'università abbiano risolto il loro status). Non ricercatori come forza viva - dottorandi, docenti, studenti - di una università che può ripensare presente e futuro della società e della vita. Di quell'università, per esempio, che è stata protagonista nel forum di Firenze 2002

 

No alla controriforma

Riordino dei cicli scolastici

di Maria Lenti

 

in «RifondaMarche» - anno II - 3 novembre-dicembre 2000

 

Riordino dei cicli? No, grazie. È la posizione del   Prc, che alla Camera aveva presentato una relazione di minoranza con un proprio progetto, ma anche di esperti, di molti insegnanti,   dei sindacati di base,  della Cisl.  Il comitato per la scuola della repubblica non lo condivide. Al Tar del Lazio vi è un ricorso per "incostituzionalità". Il riordino riduce l'obbligo attuale di un anno e,  quindi, taglierà 70.000 docenti: elementari o medi?; prevede un biennio non unico (privati e scuole professionali cattoliche sono in attesa !); istituzionalizza la scuola "di classe": triennio di istruzione o di formazione professionale  o di apprendistato.

Insomma differenze, per legge, tra uguali e occhio slungato, con i soldi dello stato, nelle fabbriche, dove ragazzi e  ragazze   impareranno   un lavoro e un mestiere. Una divisione a priori tra chi può e chi non può. I "pierini" si istruiranno magari fino all'università per la futura classe dirigente; altri giovani della stessa età andranno a lavorare, da subito. La scelta -chi può negarlo? - la faranno la  provenienza,   il luogo  di residenza, lo status della famiglia,  le condizioni economiche, il sesso magari, ecc. Se questa è una conquista ... trentatrè anni dopo "Lettera a una piofessoressa" e quasi quaranta dopo la scuola media obbligatoria per tutti !  Né valgono, a dire la bontà di una   "riforma" voluta  da  un governo e da una maggioranza di centrosinistra, i clamori elettoralistici del polo delle libertà.  Il centrodestra, infatti, al momento del voto, è uscito dall'aula perché aveva ottenuto il massimo regalo: l'apprendistato e la formazione professionale nelle strutture private, dove è padrone il lavoro del padrone, non l'istruzione ... a quindici anni, in imposta obbedienza, quando è facile imparare un mestiere, una professione, ed è impossibile far riconoscere i propri diritti, le proprie necessità; a quindici anni, mentre i coetanei potranno, pur nel non sempre piacevole dovere di studiare, gustare una poesia, un approfondimento di storia, un quadro, la matematica più alta, uno spartito musicale,  la fantasia geometrica,  la riflessione sulla scienza, ecc., cioè la lente critica sul mondo.

Si può ben dire, allora, che il riordino dei cicli è un "riordino" sociale, un tappeto messo sulla strada della Confindustria. per avallare l'esistente e impedire possibilità diverse e differenti. Si dirà: ma non è giusto che i giovani imparino un mestiere? Ma certo. E rifondazione ciò prevedeva - sempre per chi dice che il Prc non propone niente - ma per tutti: un avvicinamento al lavoro affiancato dalla preparazione teorica poi, a maturità conseguita, l'avvio al lavoro, come avviene in altri paesi europei. Il mondo della scuola è in fibrillazione. L'autonomia sta facendo danni e tenta di dividere il corpo docente e non docente; attua competitività tra scuole dello stesso grado. Le private, finanziate, sono pronte per scavalcamenti.

Il parlamento, al momento in cui scriviamo, sta esaminando il decreto attuativo. I sindacati hanno annunciato scioperi e mobilitazioni.  Rifondazione comunista continuerà con determinazione la lotta al loro fianco.

C'è di che sperare.

 

Torna la scuola della selezione di classe

L'opposizione di Rifondazione nell'intervento della relatrice a Montecitorio

di Maria Lenti

 

in «Liberazione» - 23 settembre 1999

 

Rifondazione comunista ha lavorato con passione in questi anni affinchè la scuola fosse riformata nelle sue possibilità di vita, nei contenuti, nei programmi, negli addentellati;  per favorire la conoscenza critica della realtà, anche futura, e la conoscenza del mondo del lavoro, inteso come realtà non statica, in cui i giovani usciti dalla scuola potessero non inserirsi pedissequamente nel mondo e nel lavoro, ma relazionarvisi in modo dinamico.  II provvedimento esaminato dalla Camera non soddisfa minimamente. Non soddisfa noi, che avevamo presentato un testo alternativo: non soddisfa e non trova nemmeno il consenso del 50 per cento degli Italiani e di una parte ancora maggiore dei giovani e dei lavoratori della scuola.

Il provvedimento sui riordino dei cicli è frutto di un accordo Ds-Ppi; in pratica, si tratta di una delega al governo, su direttive di fondo a dir poco discutibili. Si istituzionalizza per legge, anzitutto, la diversità territoriale della scuola; e si fa lo stesso per la selezione dei giovani tra scuola, formazione professionale e apprendistato. Molti di noi ricordano - altri l'hanno vissuta - la scuola di classe, per cambiare la quale ci siamo tanto battuti, la sinistra si èbattuta; allora bambini di 11 anni erano diretti al lavoro, all’"Avviamento" o alla Media, a seconda della loro provenienza geografica, sociale, economica.  In questo riordino avviene la stessa cosa.

Alla selezione di classe, poi, si aggiunge l'affidamento della formazione professionale ai privati, direttamente. Il che significa che lo Stato, finanzierà i privati a questo scopo, così come per l'apprendistato.  Qui è l'industria che la vince, la Confindustria e non certo gli artigiani. II ministro Berlinguer parla d'un salario di 600 mila lire al mese agli apprendisti: certo, chi rifiuterà i soldi, ministro?  Rossana Rossanda ha di recente affrontato il tema del sostegno alle famiglie, e poneva proprio questa domanda: chi rifiuterà?  Come si dice, meglio un pò di soldi oggi che il niente domani.

Questo disegno, insomma, rientra nelle scelte taglieggiatrici e neoliberiste dell'attuale maggioranza e si affianca ad altri suoi provvedimenti sulla famiglia.  Nessuno ignora che per la scuola dell'infanzia assorbita per intero nell'obbligo sono state concesse grandi aperture ai privati, oscurando l'articolo 33 della Costituzione e il suo dettato «senza oneri per lo Stato». E' stato respinto il nostro emendamento che prevedeva l'obbligo per lo Stato di istituire scuole là dove non esistono: e chi farà questa scuola dell'infanzia? I privati. E sarà lo Stato a finanziare le 14mila classi della scuola dell'infanzia in più che verranno istituite. Come si fa allora ad affermare che questa è una riforma a costo zero?  Solo se, mentre si prevedono riduzioni di spesa, non si dicono le spese che invece ci saranno. E perché gli "esuberi" o i precari che non verranno più riassorbiti si calcolano - cosi dicono i dati sindacali - attorno agli 80mila.

Non è scandaloso tutto ciò per un governo cosiddetto di sinistra, per le forze che all'interno della maggioranza avevano dichiarato che non un soldo sarebbe andato alla scuola privata e si dicevano contrarie alla riduzione dei posti di lavoro?

Questa è una legge senza respiro anche per il futuro della nostra società, oltre che della nostra scuola. Pensiamo a come era stato molto più lungimirante Gabrio Casati, ministro della Pubblica Istruzione subito dopo l'Unità d'Italia, che istituì il diritto per tutti i bambini e le bambine di andare ad istruirsi fino alla quinta elementare; in una società che, anche allora, era dominata da ceti economici e sociali che pensavano e volevano quei bambini nei campi, nelle botteghe, nelle fabbriche. E pensiamo a come è stato lungimirante il nostro Parlamento nel 1961-62 quando ha istituito la scuola Media Unica in tutta Italia, abolendo l'Avviamento e innalzando per tutti il diritto allo studio fino alla terza media. E non c'erano anche allora industriali che gridavano allo scandalo e alla necessità di avere forza-lavoro subito in fabbrica?  Oggi si approva invece una riforma della scuola che fa differenza: di censo, di situazione sociale, familiare, probabilmente di sesso.

Per tutte queste ragioni, Rifondazione comunista continuerà al Senato e nella società, con passione, la sua battaglia per una scuola diversa e davvero nuova.

 

Il lungo addio all'istruzione per tutti

Mica male per il centrosinistra

di Maria Lenti

 

In «Liberazione» - 3 marzo 2000

 

È l'inizio di un addio alla scuola pubblica statale, la scuola bella, pluralista, di tutti e di tutte, la scuola libera per eccellenza.

Rifondazione comunista non può condividere un provvedimento così. Per contrastarlo, abbiamo fatto la nostra parte, anche con gli operatori della scuola e con i genitori.

Abbiamo proposto finanziamenti certi per biblioteche, edifici, laboratori, palestre e per la vivibilità della nostra scuola, per il pagamento di libri e di stipendi migliori a tutti gli insegnanti. Rifondazione ha fatto la sua parte anche con altri partiti, almeno fino a che questi, in Senato, non hanno fatto il blitz del maxiemendamento che è ora questa proposta di legge. Voglio ricordare le giornate infuocate del dicembre 1998 per la discussione della finanziaria per il 1999, le dichiarazioni in aula, le conferenze stampa a metà di quel mese per questi 347 miliardi previsti nella proposta di legge n. 6270. Dove sono, ora, i comunisti italiani, i socialisti democratici e altri deputati della maggioranza, che si dovrebbero esprimere a titolo personale?  Dove sono alcuni diessini fieramente avversi alla parità e al finanziamento delle scuole private?  Dove sono alcuni Verdi? Sono qui, insieme, a dare valore, valenza e soldi (897 miliardi ora e, in prospettiva, molti di più) alla scuola privata, nonché sgravi fiscali mistificando, dietro la funzione di Onlus, un vantaggio economico effettivo e che ogni impresa necessariamente persegue, sia essa appartenente a laici o a religiosi. Sono qui a conferire al ministro una delega in bianco per svalutare la scuola statale e per dare uno status legale alle scuole private, le cui «regoline», anche ridicole, vanno a costituire un tessuto a trama talmente ampia che ci può passare un cammello, quale ad esempio un «diplomificio».

Quanti erano gli scioperanti del 17 febbraio?  Il 70 per cento?  Ministro Berlinguer, lei e il ministro dell'interno dovete ancora rispondere alle interrogazioni in proposito.  Questi insegnanti continueranno la battaglia per il riconoscimento del loro lavoro e della nostra scuola, la scuola di tutti e di tutte. Rifondazione comunista è con loro.

Il Governo afferma che non vi sono soldi e giustifica così la dismissione del patrimonio pubblico, dalla scuola agli enti, ai palazzi storici, che probabilmente diventeranno locali con odori di hamburger invece che contenitori di attività sociali e culturali pubbliche.

Le leggi sulla scuola e l'autonomia frammentano e dividono; i cicli rimandano alla scuola di classe; la parità regala ai privati i soldi. I soldi, dunque, ci sono!  Inoltre, vi è la certezza, da parte degli studiosi che la parità sia anticostituzionale. Infatti, essa cambia il sistema di istruzione, concede finanziamenti ai privati, anche con sgravi fiscali alle famiglie, essa inquadra nell'ordine della legge la flessibilità del lavoro e, addirittura, il lavoro non retribuito, il volontariato.  Mica male per un Governo di centrosinistra !

[Intervento come deputata: sintesi della dichiarazione di voto].