Un ricordo a dieci anni dalla morte Circolo ACLI, 2 maggio 2007 Maria Lenti: il mondo politico-sociale di Ercole Bellucci
Chi non ricorda Ercole Bellucci con la sigaretta e lo sguardo
pungente, ironico prima ancora delle parole, un libro (o libri) sotto il
braccio? Io l’ho conosciuto nel 1958 quando, nella libreria Raimondi in cui lavoravo, il suo Recitativo d’autunno (grande risonanza in città) aveva “fatto” la vetrina. Qui Ercole veniva a comprare libri, per me sedicenne o poco più, difficili e una rivista <<L’Europa Letteraria>>. Ne avevo soggezione, timore, non sapendo, allora, che l’aggressività nasconde timidezza. Fasi alterne nella nostra amicizia: L’affronto della voce (1960) mi è stato donato con dedica autografa; ero diventata amica di Delfina Scoglio; screzi reciproci si erano diluiti quando su <<Hortus>> (1991) era uscito un mio saggio sulla sua poesia. Come altri urbinati anche io sapevo la sua insofferenza per l’ordine costituito, ne conoscevo l’anticonformismo, rimbeccavo le sue simpatie per i radicali, sorridevo per il fatto che - diceva - non andava più al cinema per il divieto di fumare, lo vedevo guidare l’Ape avendo rifiutato - dichiarava - esami, della patente nel caso. Ma io diffido, ho timore, a dare ai miei ricordi una valenza oggettiva: il coinvolgimento emotivo può trasferire sul soggetto del ricordo colori ed emozioni personali tali da caricarlo di significati a lui estranei. Per ciò, e per questa serata, il suo pensiero sulla società, sulla politica l’ho cercato nelle poesie, rileggendole. Ercole Bellucci trova da subito una poesia “nuova”, autonoma, rispetto alla tradizione e si manifesta poeta non incline a moduli che pure gli sono familiari. Con un carico di dolore personale che si aggiunge alle inquietudini adolescenziali, lettore assiduo di autori i più diversi, lui che per generazione - come è accaduto ad altri “usciti” nello stesso periodo - avrebbe potuto prestare il fianco agli epigoni ermetici o ad echi leopardiani diffusi ancora in quel Novecento nutritivo, frantuma immagini e pensiero per ricomporli solo nella complessità poetica. Autonomo, libertario, anche in poesia. Energia dei sentimenti contro tutto ciò che si arrocca a potere confermato e riverito: sia quello astratto del tempo e irriducibile della storia, anche individuale, degli affetti, sia quello concreto della società (da molti confusa con la storia) con le sue malìe angolari, le sue sirene, voraci più che seduttive, della chiacchiera, della tv, della vita feriale assimilata agli oggetti, dell’immagine sostitutiva della sostanza, della persuasione occulta dei “magi neri”. Senza, peraltro, che, - da chi agisce coscienze e si fa motore sociale, politico, culturale, o falsamente artistico, di esse - venga considerato il vero potere cui non si sfugge: quello della morte. Come perentorietà delle cose, come fine della vita.
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