Saggio di Maria Lenti: IL DIALETTO URBINATE DI ANTONIO FONTANONI
Pubblicata su: IL PARLAR FRANCO 3 ANNO III - 2003 - Rivista di cultura dialettale e critica letteraria PIER GIORGIO PAZZINI STAMPATORE EDITORE
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Non esiste una tradizione poetica in dialetto urbinate. Non tale, almeno, da aver segnato un terreno di semina cui attingere o a cui fare riferimento. Né vale ricercare il perché non si sia creata quella tradizione, oltre versi occasionali, passati di mano in mano o di bocca in bocca. Tracce negli ultimi decenni. Nel 1962 un prezioso volumetto edito dall'Istituto d'arte, Dalla mia finestra di Renzo De Scrilli con prefazione di Carlo Bo, raccoglieva consensi e interrompeva il secolare silenzio. «Egli ha saputo» - scriveva Bo - «far tenere un fragile vaso, un'onda ben più alta [rispetto alla macchiettistica dialettale, n.d.r.] di poesia, diciamo pure un sentimento universale». Anni fa I fior di camp (1979) e I quattre vent (1980) - rivista, uscita per pochi numeri -, hanno tentato un radicamento scritto, ripreso in forme diverse nel 1998 con V' l'arcont in dialett, un volume (l'ultimo del 2003 sempre a cura della Pro-Urbino) che antologizza il meglio dell'omonimo concorso annuale: iniziative volte a non far scomparire un dialetto «che la storia recente della città ha impoverito di articolazioni e spessori sociologici, ha svuotato di 'memoria' collettiva, ha quasi privato d'identità» (Giorgio Gerboni Bajardi). Nel 2002 Germana Duca Ruggeri (Ex ore) ha legato un suo contesto quotidiano alla città ideale dei Montefeltro e Duccio
Antonio Fontanoni è nato ad Urbino nel 1936. Vive a Sassocorvaro (PU). Diplomato all'Istituto d'arte di Urbino, ha insegnato educazione artistica nelle scuole medie. Scultore, pittore, incisore. Ha pubblicato (facendo tutto in proprio nel suo laboratorio, dalla stampa alla rilegatura) in copie regalate ad amici (ma numerosi): Ora se rid Ora se piagn, "Presentazione" di Walter Tommasoli (1984), Spiritual Animal, "Presentazione" di Gualtiero De Santi (1986), El ball da libertà, "Presentazione" di Maria Lenti (1987), L'arcolta del temp, "Presentazione" di Gastone Mosci (1989), Urle sensa voc, "Presentazione" di Umberto Piersanti (1990), La vera storia dia caverna magn'angosc, "Presentazione" di Sanzio Balducci (2003). Inoltre: Cement e sentiment (1986), la storia della costruzione, con la moglie Alessandra Geminiani, della loro bella casa dalle fondamenta con le proprie mani e braccia e, naturalmente, testa.
Alessandro Marchi ha musicato i suoi testi sulla Urbino della sua infanzia e giovinezza, Se vo' veda le belle d'Urbin...: ironici, frizzanti, i versi restituiscono l'incanto di ieri, la malinconia dell'oggi, il passato recuperato alla memoria, un "non so che" che vive oltre il suo tempo. Data, però, dal 1984 il lungo, affettuoso ma non mitico, a tratti aggressivo, raccontarsi e raccontare in versi, in dialetto, dell'urbinate Antonio Fontanoni. Spinto da urgenza e necessità tutte di oggi, sub specie magistri o da testimone, tuttavia profonde ancorché talora con valore di apologo, mai bozzettistiche (se lo schizzo è presente, è il lampo che rimanda ad un pathos fuori di sé), Antonio Fontanoni unisce nelle sue liriche sentimento e apodittica, constatazione e premura, paura della fine di questa nostra terra e natura e amore per esse, senso della vita dell'uomo come costruzione e orrore per chi, invece, passa la vita a distruggere, lontananza dalla vita politicistica e senso della polis, dolori familiari (un'infanzia segnata dalla morte del padre per mano dei nazifascisti), felicità per il filo d'aria respirato ogni giorno, la pienezza di giorni vissuti nell'operare, nel fare e il tempo (quando?) di innocenza interiore e di umanità esteriore. (Temi presenti con diverso spessore in tutte le sue pubblicazioni, fino all'ultima, La vera storia dia caverna magn'angosc, un vero e proprio apologo, o una favola non a lieto fine, sugli uomini che scatenano guerre, sulla possibilità di evitarle, sulla loro inevitabilità qualora non esista una caverna mangia-angosce individuale). Nel percorso, Antonio Fontanoni non sembra prediligere un registro in particolare: un po' irregolare, come ama dirsi, nelle letture e nelle ascendenze (ma è meno "ingenuo" di quanto non ammetta), meglio, forse, focalizzato e centrato su un forte in sé, risulta essere talora gnomico talaltro sentenzioso, a volte secco a volte sopra le righe. Allora e di per sé il dialetto urbinate, che già potrebbe aderire poco alla poesia perché "ruvido e fluente ma libero da edulcorazioni" (Gualtiero De Santi) e che «si addice in modo particolare ai proverbi e alle sentenze, per il suo tono duro e secco che suona spesso come affermazione perentoria» (Umberto Piersanti), in Fontanoni rilascia a pieno queste sue caratteristiche. In quel forte sé dimorano testa e cuore, volontà e desiderio. Se non parla la nicchia del suo cuore rimane che a ciascuno spetta un suo compito nella vita e nella comunità anche per evitare le angosce che scatenano le furie personali, ma resta nel fondo, tra le righe, lontana, la forza, l'energia lirica prevalendo l'astrattezza della determinazione e la durezza del dovere. Ma, quando il poeta Fontanoni parte dalla nicchia del cuore (o da uno spiraglio pur piccolo di tale nicchia), i suoi versi rimandano una qualche vastità dall'universo, uno spicchio di apertura possibile verso la discussione dei malanni della società, una magari flebile voce dell'uomo e della donna in un oggi che li schiaccia ma in cui cercano uscite, la denuncia dei poteri che contano più che un dito puntato sugli individualismi micragnosi e implodenti e sulla eticità mancante nelle persone. Senza moralismi. Ed emergono il tempo, la natura, la storia e l'uomo che si cercano e si rincorrono reciprocamente non per vincersi ma per riconoscersi e accettarsi.
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