Giancarlo Cecchini - Arcani - Urbino - Quattroventi - 2004
Recensione di Maria Lenti
Tarocchi tutti di oggi, pungenti, gli Arcani di Giancarlo Cecchini. Non sono poi tanto carte da gioco, ma carte giocate per ammonire ed esortare dentro il costume ed il vivere contemporaneo (o di ieri, come specchio di odierne posture che suscitano rimpianto di autenticità o sorriso per le imposizioni e le necessità di essere in una determinata maniera, come ne La donna).
Giancarlo Cecchini si è ricordato, per età e per sensibilità, con il sorriso di chi ha introiettato un breve divertimento, le novità cantate fino agli anni cinquanta da moderni menestrelli nelle fiere, nelle saghe, nelle feste lungo l'arco dell'anno? Si è ricordato delle canzoni popolari che hanno un loro antecedente nella lontana Baronessa di Carini? Chissà. Le sue poesie hanno una intonazione particolare, dietro i versi sembra che vi siano le note delle canzoni diffuse e ascoltate proprio nei luoghi e spazi in cui un imbonitore leggeva i tarocchi, fingendo serietà a chi fingeva di credere ai responsi o li spalmava sopra ansie e difficoltà, sopra il cuore per tacitare questo e quelle. Erano testi rigorosamente in rima, che raccontavano tragedie, fatti di cronaca, ritorni improvvisi di emigranti, vicende di lavoratori sfruttati, di desideri inauditi, ecc.
L'invenzione poetica di Cecchini va, con la naturalità versificatoria già riscontrata ed analizzata da Gualtiero De Santi nel libro d'esordio (Giardino d'inverno) e nella dimensione di un poeta forse colpito e spinto anche lui come altri dal fascino e dall'atmosfera di Urbino, nelle pieghe non del dramma rivissuto in forme così dette popolari (nel senso già descritto), ma in quelle ben più drammatiche - con il movimento di una scrittura che quelle pieghe incide di umori agrodolci e di riscontri etici - di un oggi in cui imbonitori di altra tempra e spessore (quanto a potere), di altra finalità, di altra finzione e credenzialità arrancano e attraccano, si piazzano e cantano impudichi: re e regine, fanti, cavalieri e bagatti e il carro (l'automobile) che se ne va spavaldo come Fetonte e finisce bruciato.
Ma gli Arcani diventano e sono anche l'infanzia che torna alla memoria, il mondo che non si snoda (ma si vorrebbe) sul proprio desiderio, il sole e la luna che coprono e scoprono i giorni, la storia con le sue anomalie (come la Regina di maggio che ha tentato la sua strada per salvare monarchia e Savoia dal fascismo), il passato che dovrebbe avere insegnato l'agire e lo stare su questa terra, la casa da difendere, la casa da recuperare - come la solidarietà, l'amicizia, l'amore -.
Ce la faremo?, si chiede il poeta laicamente eppure con una sua religiosità dalle radici profonde. Vorremmo farcela, dovremmo farcela. Anche se:
...Torniamo ancora e ancora ripetiamo
di nuovo a tutti di non dimenticare.
Ma quel disagio, della sofferenza,
che nel dolore avverto dentro l'anima,
è forse, in fondo, come una sfiducia ... (da "La casa").
Maria Lenti