Recensione di M. Lenti su :

Comedia in Comedia, della Compagnia de “Lo Spacco”.
 

 

Invitata, faccio la richiesta alla direzione della casa circondariale di Villa Fastiggi-Pesaro. Entro. Emozione e attesa, diverse dall’emozione e dall’attesa di altre occasioni che mi hanno portato in questo stesso luogo. E penso che, forse, i volti e i corpi che daranno vita a personaggi teatrali li ho già visti.

…ma il teatro muove fantasia e realtà… un salone, molti spettatori, luci (senza spreco né esagerazione), attori già pronti nelle sedie a lato della scena aperta. E…quei volti e corpi li incontro per la prima volta, trasformati dalla capacità di aver trovato dentro di sé la consapevolezza di poter agire situazioni, di poter esprimere, magari, un sé nemmeno mai pensato…

La vicenda si dipana nei nuclei fondamentali di una tipica commedia dell’arte: decisioni (dei padri) già prese (sulla pelle dei figli, delle figlie soprattutto il cui matrimonio è una vendita), intreccio d’amore tra desiderio e separazione. L’ ostessa e Pulcinella “tramano” e “riscuotono”: nel fare questo, tuttavia, - più o meno ricompensati e diversamente abili -, sciolgono l’intreccio e restituiscono ad ognuno la propria dimensione e una qualche felicità.

Nella più classica delle situazioni Pulcinella, furbo e pasticcione in parte pro domo sua, ingarbuglia le pretese del vecchio genitore e i suoi aggiustamenti danarosi e fa in modo che sia salva la giovinezza, salvaguardata nell’amore non comandato, liberamente scelto. Che il professore, onusto d’anni e di sapienza ma voglioso di una fanciulla, usi alla fine la sua saggezza per accettare il carico dei suoi anni e lo smacco di non aver potuto avere la fanciulla malgrado prestigio e monete. E si celebri, alla fine!, la festa di una trovata serenità…almeno fino al successivo passatempo e capriccio del destino aiutato da Pulcinella e soci.

Il canovaccio, manoscritto meridionale del Seicento, per la regia di Vito Minoia, con musiche di Arakne Mediterranea, le maschere in cuoio di Giorgio De Marchi, si è snodato dentro dialoghi dal linguaggio ironico nel dovuto, equivocato per l’inganno o la beffa o mimetico sulla falsariga della realtà, dentro un movimento fresco e il più delle volte agile e dentro una scenografia essenziale (dovuta a Barbara Attanasio, Nicola di Rella, Vito De Feo), con attori e attrici sempre all’altezza del proprio personaggio: Barbara Attanasio (Celia), Sazan Bana (cognato di Tartaglia e Gendarme), Vito de Feo (Coviello), Nicola di Rella (Orazio), Najib Ben Ahmed Maksoudi (Cinzia), Ciro Onori (Silvio), Joanna Marisol Pena Diaz (Rosetta), Pasquale Pepe (Pulcinella), Festin Poci (Capitano dei Gendarmi), Paolo Polverini (Dottore), Altin Troka (Tartaglia).

Vito Minoia e il suo Teatro Aenigma hanno attivato dal 2002 all’interno del carcere di Pesaro il laboratorio teatrale “La comunicazione teatrale” (cui ha collaborato, nel caso della Comedia in Comedia, Paolo Polverini, attore di professione). Fino ad oggi un centinaio di detenuti hanno partecipato alle attività promosse e alle messe in scena: Antigone da Sofocle-Brecht, 2003; Teatro-Forum, 2003; Le Serve di Jenet, 2004; I Negri di Jenet, 2004; Ubu Roi di Jarry, 2005 (in collaborazione con la classe III B della Media “Galilei” di Pesaro, scuola che è stata invitata nel novembre del 2006 ad assistere allo spettacolo in questione).

In Ubu Roi è stata utilizzata la tecnica della recitazione ‘a soggetto’ per favorire il coinvolgimento di attori non italiani in una ricerca di espressione scenica alternativa a quella della memorizzazione di lunghi testi. E’ stato, allora, <<naturale - scrive Minoia nella nota distribuita a stampa e spettatori - il

passaggio da un testo scritto a quello di un canovaccio manoscritto del filone meridionale della Commedia dell’arte>> propria della tradizione delle compagnie dei comici girovaghi del cinquecento e del seicento che per primi scelsero il teatro come professione. Commedia dell’arte, “commedia dell’improvviso”, che vide per la prima volta in scena le donne recitare, loro, la parte di donne.

Naturale arrivare alla Comedia in Comedia, agli attori su nominati divertiti nel loro travestimento e divertenti il pubblico che ha applaudito e che si è, poi, complimentato a lungo, con tutti. Risate, elogi caldi, strette di mano.

Se tutto questo ha prodotto qualche giorno di maggiore consapevolezza tra un dentro e un fuori, maggiore capacità nell’assumere la reclusione come parte di una città e non, quindi, come realtà a parte, è già un risultato.

Che il teatro, il lavoro manuale e continuo, gli incontri culturali in cui sono coinvolti detenute e detenuti, il contatto umano in situazioni diverse rispetto alla avara stanza dei colloqui, la reclusione insomma che non emargina ma che apre ad altro, possa essere una via ad altre realtà, ad altre probabilità, a nuove speranze e scommesse individuali e sociali, che tutto questo, insomma, faccia del carcere lo spazio che diventa luogo per giorni differenti lo dicono in molti: lo spirito delle leggi, gli operatori che sperimentano strade, gli studiosi che ci hanno riflettuto su.

Soprattutto, lo dicono e lo scrivono, anche, quelli che hanno incontrato la privazione, più o meno lunga, della loro vita.

Maria Lenti