Saggio di Maria Lenti:

L'Odysseus

di Dante Marianacci

in:  Oggi e Domani

anno XXVII - n. 11/12 - novembre/Dicembre 1999 (n. 294 delle serie)

 

 

(...) nella coscienza di un perduto non trovato, di un trovato non risolto secondo il desiderio, nello "schianto" e ancora nel ricominciare, si distendono il viaggio ed il ritorno continuo, incessante e -non paradossalmente - sempre uguale a se stesso.  Lo sottolinea Giorgio Patrizi, scrivendo de I ritorni di Odysseus: "Il ritorno è solo il pretesto per ripartire l'esistenza è solo l'occasione per continuare a sperare nel ritorno, la poesia è la voce che consente di far vivere l'immaginazione del viaggio"

La poesia di Dante Marianacci si distende negli spazi tra viaggio reale e sua immaginazione, tra la resa e i suoi gradini tra la necessità di un sapere di sé e il desiderio di lasciare indietro quel sé, anche lontano, mentre l'impossibilità "che tutto questo sia" ridefinisce altri margini ed altre consistenze.

Come dire, insomma, che se un esterno non dà consolazioni, il proprio sé ammutolisce per l'insistenza del suo proporsi e riproporsi, anche nella ricerca di radici, dei padri, del proprio padre cui si resta abbarbicati anche lontani nel tempo e nello spazio.  Questo padre è, in definitiva, il passato, il perento, il volutamente lasciato, il presente non trovato, tutte ciò che resta dietro di noi, quel che non troveremo mai, il contentarsi del giorno e la storia che lo nega: un bagaglio noto, ossia la "sorte" del viaggiatore vero, per dirla con Baudelaire che Marianacci chiama "mon semblande mon frère" (p. 38), il sogno.  E dunque - scrive Giuseppe Conte nella clausola della "prefazione" I ritorni di Odysseus -: "(...) occorre essere sempre pronti a sfidare le onde, a rialzare le vele del sogno e della conoscenza, a ricominciare il viaggio".

II viaggio sarà un ritorno, se non il ritorno, senza sorprese né stupori. In questo la poesia di Dante Marianaci accoglie la lezione dei suoi maestri ed un arco di riflessione che i. Novecento ha percorso e ripercorso lasciando agli interrogativi stessi la loro proposta e la loro impossibile distensione in risposte definitive. (...)