Libertà di scelta

Le proposte di Rifondazione Comunista

di Maria Lenti

 

in «Gulliver» (Dossier/Cinema) - anno XIX - 5 maggio 2000

 

 Per il cinema italiano ed europeo: questo il senso degli emendamenti che proponiamo al disegno di legge n. 6467 del ministro Giovanna Melandri.

Cinema che è tanta parte della cultura, ma anche della vita sociale e relazionale, del senso vorrei dire anche delle nostre individualità, dei divertimenti, crescite, riflessioni, mentalità e costume, di oggi e di ieri. Tutto un mondo, anche economico, anche ecologico, che oggi è compresso quando non frustrato nei suoi sforzi e nelle sue energie, dalla difficoltà di essere presente nelle sale, nei diversi luoghi della penisola, di essere dunque visto e, perché no?, gustato, criticato, rifiutato nel suo assunto e nel suo dire-raccontare e acquisito come dato della nostra esistenza o magari solo della nostra quotidianità e magari solo come distrazione e passatempo quando non come argomento di studio.

Ma se non circolano, o circolano poco e male, i film delle cinematografie europee, un termine del rapporto è mancante, dunque non si dà rapporto.

Esperti e studiosi, operatori del cinema italiano, già su queste pagine si sono occupati del problema. Qualche mia osservazione da frequentatrice assidua del cinema (e da presentatrice degli emendamenti di Rifondazione comunista in commissione cultura della Camera dei deputati) non può nulla aggiungere alle loro considerazioni e posizioni, ma anche ai numerosi, frequenti, ripetuti appelli perché il cinema italiano torni ad essere sugli schermi.

Gli emendamenti questo propongono, anche in sintonia con quanto è stato fatto in altri paesi, per esempio in Spagna. Più sale che proiettano e per più giorni film italiani ed europei, contributi ai gestori che non abbiano realizzato gli incassi mediamente raggiunti con altri film, case di distribuzione che devono doppiare per ogni film extracomunitario un film di cinematografie europee, divieto di concentrare produzione, distribuzione ed esercizio per imprese che producano più di cinque opere all'anno e abbiano un fatturato superiore a 25 miliardi (ovvero antitrust sulle concentrazioni verticali che oggi uniscono vari compartì dell'audiovisivo).

Rispetto al ddl Melandri, positivo perché volto a favorire la circolazione dei film, questi emendamenti vanno dunque un po' più alla radice della stasi che vive il cinema italiano ormai da parecchio tempo. Una stasi denunciata dagli operatori del settore, dagli autori, dai produttori indipendenti, peraltro impegnati anche a suggerire le particolarità "tecniche" degli emendamenti stessi.

Che non hanno minimamente l'intento di "punire" qualcuno: hanno l'intento di ribadire la libertà di chi opera nel cinema di vedere assicurata la possibilità per le proprie opere di "esistere". E l'intento di assicurare a chi va al cinema la libertà di scegliere. È una libertà anche economica oltre che culturale e delle persone, vanificata proprio dal catenaccio produzione-distribuzione-esercizio che mette in circolazione e sul mercato i propri film con una invadenza inarrestabile nelle città e nei piccoli centri, in televisione.

Quanti e quali sono i film realizzati per esempio in Italia, anche negli anni passati, che non hanno goduto nemmeno di un giorno di proiezione?  Numerosissimi, come quelli che "sono stati su" un giorno e poi sono scomparsi. Niente pubblico: ecco perché l'opera non circola. È l'obiezione avanzata in discussione generale del disegno governativo: il "valore" del film è garantito solo dall'affluenza del pubblico. Ahimè, anzi, ahinoi. Ma, anche in questa ottica: se l'opera non circola come fa il pubblico a vederla?

È il cinema americano ad invadere. Il cinema è bello ed è bello il cinema americano, quando è bello. Meno bene va quando il mercato viene determinato e definito dalle concentrazioni verticali (e anche multinazionali) che "impongono" un dato film, molti film, tanti film e solo quelli in tutto il territorio.

Si guardino le programmazioni dei piccoli centri di una qualsiasi regione: si vedrà che l'unica sala di molti di questi centri nel fine settimana è occupata dallo stesso titolo. Se questa è libertà, quale libertà di scelta ha lo spettatore che vuole andare ai cinema?

D'altronde la stesura degli emendamenti, nati dall'incontro e dalle riflessioni con la gente del cinema, si è avvalsa della competenza di Ugo Rescigno, professore di diritto costituzionale  alla Sapienza, che ha "guardato" a fondo la questione "libertà".

Si è incrociata la libertà della manifestazione del pensiero con quella dell'arte e della scienza, quella della difesa e riconoscimento del lavoro (degli operatori del cinema) con quella dello spettatore e del cittadino: sono vari articoli, tra i fondamentali della Costituzione.

In questo crocevia di libertà il cinema italiano ed europeo ci sta benissimo: bisogna ridargli fiato, trovare la strada per farlo essere visibile perché sia guardato, seguito, visto, amato.

Una digressione, non peregrina, credo. Quanti, della mia generazione, hanno avuto il coraggio di affrontare la vita e l'esistenza anche perché il cinema offriva un contraltare di possibilità di idee, di figurazione di desideri, di riflessioni sul passato, di alternative al conformismo, dì divertimento spicciolo e profondo?

Forse che oggi non si ha bisogno di questo "schermo" di confronto, fatto nelle e delle dinamiche attuali, nelle pieghe e nelle crepe apertesi per tutti e tanto più per le generazioni oggi giovani che devono guardare a sé e al proprio domani?

Il cinema è anche questo "schermo", insieme all'arte, alla letteratura, ad altri canali di pensiero. Anche su questo, allora, si dovrà ragionare nel comitato ristretto, con i colleghi deputati e il governo, per valutare emendamenti e proposte. Positive, ho detto, quelle iniziali del governo: si allargano nella circolazione le strade al cinema italiano ed europeo. Da questo impianto si può andare solo avanti, non indietro.

M.Lenti