PREFAZIONE

Gualtiero De Santi

 

La poesia rende leggeri, ovvero correnti e musicali. Ed è il luogo dell'ospitalità accordata al desiderio e alla conoscenza del mondo, tanto quanto alle sue oscillazioni e asperità, alle armonie come pure al conflitto. Con qualche marcatura di lirismo ma con accenti più intensamente emotivi, ancorché trasfusi in figure ed emulsioni di discorso che tirano verso l'autoriflessività, la poesia di Maria Lenti sviluppa le proprie essenziali timbrature in convoluzioni di verso che incatenano le parole tra loro. Una costruzione ad anello, se così si può dire o come suggerisce il titolo di una poesia, appunto "Anello", dove l'insistenza o almeno la vista sul centro non riesce a sciogliersi dalla spirale che congiunge i sintagmi al loro interno. Qualcosa di più del comune enjambement: qualcosa che forse starebbe nei termini di una voluta, se non fosse che ciò che da di piglio all'ispirazione e al movimento scritturale ondeggia esattamente tra un incontenuto turbine e una voglia di definizione, tra il magma e la ragione.

Una tale oscillazione non pertiene alla sola concezione ritmica: ma altrettanto all'accostamento di lemmi in contrasto. Sempre "Anello" ci presenta nella parte in chiusura la vividità di lampi e bagliori speziati di aspri e taglienti sapori. E nel terz'ultimo verso la scansione si disvolge e sgrana in un'alternanza di tensioni: "Lune d'inganno daranno chiarore". Ecco, allora, Lune > inganno > chiarore: un filo indotto a svilupparsi su una linea alternata di affermazione e negazione. E che oscilla tra quanto si innalza al di sopra del rigo di versificazione e ciò che invece rimane al di sotto: tra quanto sta all'aspetto in chiave d'evidenza e quanto invece si profonde in velocità private e intime.

Lo scorrimento di versi e lemmi e la loro scansione si illustrano infine e si concretizzano in una cascata di parole: un movimento testuale lasciato inoltrare, grazie alla costante transizione tra scrittura e realtà, tra poesia e privato, in zone non altrimenti raggiungibili. In spazi marginali e forse a volte aggrovigliati e troppo ingorgati nella preventiva profondità: luoghi o corridoi laterali, silenti nella stipatezza di emozioni e afrori, dove lo spirito poetico si addiziona di altre forme e anche di altri arrischiati umori.

Lo stile lirico di questa scrittura (ormai una cifra stilistica della poetessa) si chiude entro incisi e spazi dubitativi, tenendosi tra punti d'interrogazione e soprassalti memoriali, tra riflessi corporali e contrappunti psichici. In un luogo empiti affettivi quasi si sciolgono - vedi "Quolibet", vedi "Per Paolo G." -, per poi trasformarsi in una laicità che pretende o almeno cerca d'aver adito al dire, adito alle parole che congiungono in un solo tratto la rabbia, il dolore e l'ira, ma anche la gioia, la malinconia, lo spirito critico, anche l'attesa di futuro (sempre presente nell'orizzonte di questa scrittura).

Dove tanto in fatto interviene, nel senso che la poesia non se lo propone come specchio o come progetto o traguardo, ritroviamo quel sopra citato movimento testuale che in certi segmenti si viene irrigidendo in lemmi calcolati e preziosi, ma che in diversi altri tratti si abbandona al cantilenato, a ondate di parole che quasi sondano l'impossibile, il riposto. Cesellando una lingua speciale anzi specialissima, rimata e ritmata, legata a schidionate in verticale oppure sviluppantesi su un piano di superficie. Una lingua che ha qualcosa del sortilegio rabdomantico ma anche i caratteri di una materialità e prensilità in grado di oscillare verso il campo del visuale e della sperimentazione spericolata. Attraverso parole che danno traccia a una sedimentazione della mente e dei più celati e internati e forse anche indicibili "desiri".

Ciò che ne risulta lambisce qualche volta spazi e plaghe di positività: "mesto le carte / vinco le storte / prendo le scorte" ("Ape Regina"). Ma il più sovente hanno il sopravvento la forza del dubbio e la pressione di un discorso che si vuole sempre in tensione e sempre aperto: "dono della poesia / dono di malinconia" ("Dono"). Ovvero il dino della parola e del pensiero.