Prefazione di Maria Lenti a: "DEBUTTO A SIPARIO CHIUSO" di Annateresa Vichi Albanesi POESIE - EDIZIONI DEL LEONE - giugno 2003
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Un filo lega le poesie e tutte le raccolte di Annateresa Vichi Albanesi: ed è il filo tra sé e la vita nelle sue mille sfaccettature su cui si rifrangono o si rispecchiano desiderio e illusione, riscontro e avvio, consapevolezza e meditata attesa di un'apertura. Nulla muta e tutto muta, in fondo, per il fatto che la realtà e l'esistenza incontrano sentieri diversi e differenti strade in cui, tuttavia, restano uguali e sempre tali la ricerca, la constatazione, la nuova attesa. Nelle liriche di Debutto a sipario chiuso i due termini sono già nel titolo: lì dove un inizio è dichiarato si situa immediatamente l'impossibilità che esso si svolga. Il segmento, tuttavia, idealmente e poeticamente teso tra i due punti, si riempie di stati d'animo, di persone, di giorni, di ore, di luci e di ombre, di sensazioni e di emozioni, di pensieri, che appaiono e scompaiono e che - nel loro farsi e disfarsi - danno ragione, indiretta, di quel che ostinatamente si continua a vivere: ossia dell'essenza stessa della vita. Certo ci sono (ed in altri momenti e poesie Vichi Albanesi lo ha scritto) situazioni esistenziali di dolore o di gioia - derivate dai passi mossi o non mossi, dalla storia e dai soprusi di essa (i carnefici, per esempio, della seconda guerra mondiale e delle guerre sparse nel mondo), della quotidianità sfuggita al controllo razionale e al lavoro dei giorni che danno (o non danno) i loro frutti, della morte che colpisce i viventi, ecc. Ma la linea poetica più inseguita (o la linea poetica che più insegue Annateresa Vichi Albanesi: mi riferisco a E sono stanca di inventarmi il sole e Ombre di soli a sera) si addentra nelle profondità e nei perché (non risolti, si sa, se non pensando ad una luce ultraterrena) della vita. Con un 'angolazione particolare. Profondità e perché fanno parte dello scorrere della vita e del suo flusso: impossibile darne ragione e conto. Esistono e tanto basta. Anche nelle contraddizioni loro proprie, nelle menzogne e negli infingimenti, nelle finzioni: «La mia pagina bianca somiglia a un inciso tra i momenti di trepidazione e parole dette a strappic: l'ortica è riluttante a concedere fiori, se il sole non la incarna. E mi sommerge l'agonia di luci spente nell'ingenuo credere che non tramonti il tempo, mentendo alla vita.» Contrasti, anzi, e non contraddizioni, per i versi che non "dicono " ma "fluiscono ", escono cioè come sono, arrivano nella loro pienezza anche musicale, quasi che naturaliter siano scesi nella pagina senza la mediazione di una pausa: il che certamente non è, se è vero - come è vero - che i versi hanno sapienza ritmica. Allora si può scrivere che il "sogno di rara innocenza" (individuato dalla giuria del premio di Civitanova Marche "Donna è Scrittura" nel 1991) è la cifra di una poetessa che, avendo vissuto e conoscendo oscurità e impossibilità, le nomina limpidamente iniziando dal loro contrario. Secondo una lezione ben radicata nella poesia italiana ed europea del Novecento.
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